Storia del Castello di Bentivoglio (Ponte Poledrano)

È il 1° febbraio dell'anno 1352, il cardinale Androino de la Roche, legato pontificio a Bologna, concede a Guido di Egano Lambertini il permesso di edificare un mulino in una proprietà affacciata sul Navile nei pressi della località detta Ponte Poledrano. Alla data il corso del Navile, a Ponte Poledrano, vede nascere, nel 1352, il Mulino e in seguito nel 1390 la Rocca con la torre di avvistamento, eretta dal Comune di Bologna.Nel 1460 la famiglia Bentivoglio diviene proprietaria della Rocca di Ponte Poledrano nella persona di Sante Bentivoglio. Gli interventi sulla rocca comunale effettuati dalla Famiglia furono di entità ridotta e segnarono il sostanziale cambiamento funzionale dell'edificio che, pur mantenendo elevato il livello di sicurezza, acquisì caratteristiche residenziali. Giovanni II Bentivoglio, nel 1475, non tentò di migliorare ulteriormente le capacità ricettive del vecchio fortilizio ma ne recuperò le capacità difensive inglobandolo, come compartimento di sicurezza, nel grande palazzo che edificò intorno ad esso, la sua domus jocunditatis. Il castello visse momenti di grande fulgore e notorietà, in particolar modo quando, alla fine del gennaio 1502, gli occhi della diplomazia europea si concentrarono sulle sue sale. Infatti, il 31 gennaio 1502 Lucrezia Borgia lasciava Bologna e navigando sul Navile, giunse al Bentivoglio, "Casa della gioia". In conclusione, si può dire che il massimo splendore del castello durò pochi anni. In pratica dalla sua costruzione nel 1475 alla fuga dei Bentivoglio da Bologna nel 1506. Da questa ultima data la Domus iniziò un lento declino e con fasi alterne fu del tutto dimenticata; fino al 1889 quando il marchese C. A. Pizzardi, diventatone proprietario, decise di restaurarla.Punti di interesse: LA CAPPELLA DEL CASTELLO, LA ROCCA DEL CASTELLO, LA SALA DEL PANE, IL SOTTOTETTO, PITTURE DEL CORRIDOIO.

Castello di Bentivoglio e la sua Architettura - Bentivoglio e dintorni

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Castello di Bentivoglio e la sua Architettura

 
 
Il Castello di Bentivoglio
a.d. 1390


   

Ginevra Sforza                                                    Giovanni II Bentivoglio 

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La Storia del castello di bentivoglio
(ponte poledrano)
LA ROCCA____________

È il 1° febbraio dell'anno 1352, il cardinale Androino de la Roche, legato pontificio a Bologna, concede a Guido di Egano Lambertini il permesso di edificare un mulino in una proprietà affacciata sul Navile nei pressi della località detta Ponte Poledrano. Alla data il corso del Navile, a Ponte Poledrano, si può stilizzare con le figure sotto in cui si evidenziano prima, nel 1352, la nascita del mulino e in seguito nel 1390 la costruzione, da parte del Comune di Bologna, della Rocca con la torre di avvistamento.

  

Nel 1460 la famiglia Bentivoglio diviene proprietaria della Rocca di Ponte Poledrano nella persona di Sante Bentivoglio. Gli interventi sulla rocca comunale effettuati dalla Famiglia furono di entità ridotta e segnarono il sostanziale cambiamento funzionale dell’edificio che, pur mantenendo elevato il livello di sicurezza, acquisì caratteristiche residenziali. Nelle immagini a fianco sono visibili decorazioni murali non certo di carattere militare.

   

La rocca era quindi preesistente alla Domus, costruita dal Comune allo scopo di controllare i confini verso i Marchesi D’Este. La fortificazione non aveva particolari funzioni difensive ma bensì di controllo della strada, del ponte sul Navile e dei mulini, infatti, ospitava una ridotta guarnigione stanziale formata da tre sole unità.
Quindi i compiti della rocca erano quelli di segnalare alla vicina Bologna qualsiasi situazione di minaccia. Di notte, sulla torre e più precisamente nel punto più alto, il torrino di segnalazione, venivano accesi fuochi all’interno di bracieri. In base al numero e all’intermittenza delle luci si indicavano le varie situazioni di pericolo, sia a Bologna (torre degli Asinelli) che a tutte le rocche limitrofe. Nelle ore diurne, invece, ci si serviva del braciere per fare fumo o eventualmente di una campana di segnalazione. Giovanni II Bentivoglio mantenne intatta la rocca facendone un bastione difensivo per la Domus, raggiungibile, in caso di pericolo, attraverso un corridoio coperto e un piccolo ponte levatoio. Al tempo, avere una torre affiancata alla propria dimora era usuale come risulta evidente dal profilo dell’antica città di Bologna.

  

DOMUS JOCUNDITATIS                            

Giovanni II, nel 1475, non tentò di migliorare ulteriormente le capacità ricettive del vecchio fortilizio ma ne recuperò le capacità difensive inglobandolo, come compartimento di sicurezza, nel grande palazzo che edificò intorno ad esso, la sua domus jocunditatis. A proposito di questa il Rubbiani dirà << Al Bentivoglio prevale il desiderio di vita luminosa, di ampi spazi. Il muro di cinta e le fosse girano al largo, massime verso mezzodì, per includere giardini e prati; grandi e fitte le finestre inondano di luce le camere e le gallerie; la sala di riunione della famiglia e degli ospiti, tutta finestre verso il sole, era riscaldata dalle vampe di ben cinque camini; dalla bassa corte si passava da ogni parte nella corte d'onore senza cautela di ponti levatoio o di saracinesche; dalla corte d'onore, dipinta tutta a rame di fiori col motto -domus jocunditatis - si saliva agli appartamenti per una bella scala indifesa >>

    

La Domus, costruita per essere luogo di svaghi e di delizie, ha avuto, fin dalla sua edificazione anche il ruolo, non meno importante, di centro di una redditizia “possessione agricola” con un grande mulino dotato di macchine mosse dalla forza dell’acqua. Sarà questo ruolo che in seguito alla cacciata dei Bentivoglio da Bologna permetterà, con vicende alterne, la sopravvivenza del luogo. Intorno al castello Giovanni II andò, negli anni, creando un consistente podere agricolo (358 ettari iniziali) e rese più produttivo l’Opificio tanto che alla confisca dei beni, a seguito della fuga da Bologna, il mulino di Ponte Poledrano venne stimato assai più di tutti gli altri posseduti dai Bentivoglio, ben 20.000 lire. Analogamente il castello e gli immobili aderenti vennero valutati 28.000 lire. Da queste stime si comprende il valore che già allora aveva il mulino. L’altra vocazione della residenza era quella “venatoria” e a testimonianza di questo erano presenti grandi affreschi, oggi del tutto illeggibili, localizzati nell' andito che collegava la corte di onore, al pianoterra, con i prati e i giardini sul lato sud del complesso.
Nei dipinti si vedevano vette di torri, fra cui era riconoscibile quella della stessa rocca di Ponte Poledrano e distese di paludi punteggiate da stormi di uccelli acquatici. Le composizioni pittoriche ricordavano, quindi, i dintorni del castello e le battute di caccia che vi si tenevano con falchi e balestre e i corni che pendevano tutti intorno al cornicione dipinto. Alla fine dello Ottocento erano ancora visibili immagini di alcuni gruppi di gentiluomini a cavallo a ricordo di qualche battuta di caccia particolarmente riuscita e celebre (come nell’esempio sotto).

Cristoforo De Predis "Scena di caccia" Biblioteca Estense Universitaria


Il castello visse momenti di grande fulgore e notorietà, in particolar modo quando, alla fine del gennaio 1502, gli occhi della diplomazia europea si concentrarono sulle sue sale. Infatti, il 31 Gennaio 1502 Lucrezia Borgia lasciava Bologna e navigando sul Navile, giunse al Bentivoglio, "Casa della gioia". Lucrezia arrivava al castello per incontrare il suo futuro sposo Alfonso d' Este. È il momento più alto e significativo per la famiglia Bentivoglio e per la sua Domus. 

IL RESTAURO ______________ 

In conclusione, si può dire che il massimo splendore del castello durò pochi anni. In pratica dalla sua costruzione nel 1475 alla fuga dei Bentivoglio da Bologna nel 1506. Da questa ultima data la Domus iniziò un lento declino e con fasi alterne fu del tutto dimenticata; fino al 1889 quando il marchese C. A. Pizzardi, diventatone proprietario, decise di restaurarla.
La situazione, all' inizio dei lavori, vedeva la costruzione in condizioni pessime, le mura di circonvallazione non esistevano più, le fosse erano state livellate alla campagna, così come non esisteva più il rivellino d' ingresso. L'ala ad ovest era scomparsa completamente (fig. a fianco), divisi i piani e le sale per ospitare abitazioni di contadini. Bucati al sole, attrezzi per la campagna e un fitto addossarsi di catapecchie per concerie di pelli e torchi da olio rendevano irriconoscibile la bellezza dell’antico castello

    

Il problema principale, nella fase di restauro, era il poter conoscere la conformazione originale dell’antico fabbricato così fortemente modificato. 
Un aiuto determinante si ebbe con la scoperta di un prezioso documento nell' archivio Bentivoglio in Ferrara. L' iconografia e una vista del castello, redatta da Bonalberto Bonfadini, riproduceva la costruzione così com'era nel 1735 (figura sotto), periodo in cui la Domus non era ancora stata mutilata e trasformata in fabbriche e residenze. Il documento fu di grande aiuto ad Alfonso Rubbiani a cui fu dato il compito di far rivivere il castello. L’eliminazione delle umerose sovrastrutture fu, quindi, fra i primi obbiettivi del Rubbiani per ridare all' intero edificio la sua antica fisionomia. Si iniziò con la rocca dove si vede come alla torre si addossassero molti edifici che la ristrutturazione eliminò, ridando respiro al vecchio maniero.

    

Il fortilizio fino a quel momento non aveva subito grosse modificazioni tanto che ciò che era visibile all’inizio del '900 era vicino a ciò che poteva essere visto alla fine del '400. Era la Domus la più danneggiata; come già detto l’intera ala ad ovest non esisteva più e ciò comportò la sua totale ricostruzione. Gli interni non erano più riconoscibili a causa dell’utilizzo degli ampi saloni come appartamenti (fu necessario lo sgombro di circa duecento persone che occupavano abusivamente queste stanze). Rubbiani, ricostruendo l'ala mancante e tutta la cerchia muraria totalmente scomparsa, ricompose la fisionomia del vecchio castello.
L'edificio, a base quadrangolare con una vasta corte interna, nel lato nord era unito ad un fabbricato di notevoli dimensioni che conteneva l'antica scuderia.



La costruzione che affianca il Castello ha di ragguardevole le sue dimensioni. Formato da un unico ambiente ha una lunghezza di 70 metri ed è suddiviso in tre parti da navate sorrette da pilastri a pianta quadrata. La scuderia poteva contenere 50 o 60 cavalli ed era connessa con il castello attraverso un braccio di fabbrica visibile in alto a destra. Questo prolungamento dell'ala di levante che unisce il palazzo alle scuderie, viene indicato dal Rubbiani come possibile luogo per le cucine di Messer Giovanni. Certamente il percorso delle vivande per raggiungere le vaste sale da pranzo sarebbe risultato, in questa ipotesi, molto lungo ma non inusuale ai grandi palazzi del tempo. Molto più complesso e in parte non riuscito fu il tentativo di ridare vita alle decorazioni che dovevano rendere il Palazzo davvero sorprendente. Achille Casanova che fu probabilmente l’artefice della ristrutturazione artistica degli ornamenti così scriveva a C.A. Pizzardi:
…è dimostrato che tutte le pareti della corte erano dipinte in bianco con il seminato di fiori e il motto Domus iocunditatis e che le arcate dei portici erano decorate di un rifascio a chiaro scuro di giallo…..”
Non ovunque egli eseguì le decorazioni, probabilmente si limitò a ripassare le poche pitture ancora esistenti. Oggi le pareti del cortile d’onore sono completamente prive di qualsivoglia pittura.

LE MURA ______________ 



Le mura che circondavano la Domus, se pur merlate, non avevano scopo difensivo; infatti, troppo bassa era lo loro altezza ed erano totalmente prive di camminamenti. Queste difese non potevano rappresentare un valido baluardo ad un possibile attacco. Il castello era, nello spirito del Bentivoglio, un luogo di pace e solo la rocca rappresentava un possibile rifugio in caso di pericolo.

RIVELLINO DI PORTA              
 
Il rivellino è la porta d'ingresso al castello, punto nevralgico della difesa delle mura, dotato di ponte levatoio permetteva al castello stesso di isolarsi grazie alla fossa che il Navile alimentava con le sue acque. La scomparsa della parte ovest del castello causò la scomparsa anche del rivellino di porta originario. Il Rubbiani, nella fase di ristrutturazione, ricreò questo bastione servendosi di quanto già fatto al Castello di San Martino dei Manzoli. L’opera ha destato e desta ancor oggi qualche dubbio sulla reale dislocazione di alcuni elementi componenti la Porta. Il Rubbiani costruisce un rivellino di porta a doppia parete frontale separate da un ponte levatoio (disegno sotto a sinistra), dove, quindi, il ponte si alza e si abbassa all'interno delle due pareti. Contrariamente a ciò nella planimetria settecentesca del Bonfadini il rivellino somiglia più ad una torre portaia e quindi con un ponte levatoio che si alza e si abbassa nella parte più esterna del rivellino (disegno sotto a destra). In conclusione, rimangono dubbi sulla ricostruzione della porta ma queste libertà interpretative saranno visibili anche in altre aree del restauro.

  


CORTE NTERNA ____________

La corte interna a pianta quadrangolare ha due lati a portici con archi a tutto sesto con colonne a capitelli corinzi. I colonnati come è visibile nelle foto (fig.5 e fig.8) sono privi dell'ultima colonna, quella corrispondente ai due punti d'ingresso al palazzo in modo che <<le comitive entrando a cavallo passavano senza rompere ordinanza >. (Rubbiani). Il Lato Nord (fig. 6), vede aprirsi diverse porte, una delle quali (la seconda da sinistra) dà accesso alla Cappella di famiglia. Un ballatoio corre lungo tutta la facciata permettendo la visione dall' alto dell’intera corte. Il lato Sud (fig.7), vede aprirsi un ampio arco che mette in collegamento la corte con i vasti giardini retrostanti il palazzo.

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Il Rubbiani nell'opera di ricostruzione dell'ala Ovest, completamente scomparsa, tenne conto delle caratteristiche della opposta ala ad est ma con notevoli libertà di interpretazione. In particolar modo lo scalone di accesso al piano nobile (vedi foto sotto) risulta fortemente orientato al gusto decorativo del gruppo di artisti che operano attorno al Rubbiani, che trae ispirazione da elementi medievali per arrivare a una sintesi tipicamente ottocentesca da Art Nouveau; si osservi ad esempio il particolare della decorazione del braciere di illuminazione (foto sotto) che assai liberamente reinterpreta alcuni elementi pur presenti nello stile medievale. Nel mezzo della corte sopravvisse alle alterne vicende un bellissimo puteale in marmo Istriano, di tipo veneziano, con gli stemmi Bentivoglio (la sega sulla destra) e la vipera, note pezze araldiche degli Sforza-Visconti. Negli altri tre lati, il pozzo, presenta altri tre stemmi; quello dei Bentivoglio, da solo, sempre raffigurante la "sega", quello dei Bentivoglio Sforza raffigurante "la sega accompagnata dalle onde sforzesche" e per ultimo quello di Ercole d'Est raffigurante il "diamante". Il pozzo risale probabilmente all’epoca dei restauri apportati da Alfonso Rubbiani e come si può notare lo stato del manufatto risente delle ingiurie del tempo.Il pozzo interrato era in mattoni nella tradizione bolognese e lo scavo come il riempimento avvenivano alternati e di seguito secondo un mestiere ben collaudato. Il supporto in ferro del sollevamento dell’acqua dal pozzo manca della carrucola e del secchio e ovviamente della corda. In cima la bandiera segna vento è ancora esistente anche se ormai bloccata dalla ruggine. Nel 2021 grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna sono stati realizzati i lavori di restauro che hanno dato nuova vita al puteale come visibile dalla foto accanto.

    


LA CAPPELLA ______________ 

Dalla grande corte al piano terra si accede alla Cappella; anche qui i guasti del tempo sono visibili. All' inclemenza dei secoli, in questo caso, va aggiunto il modo con cui furono eseguiti le pitture. La tecnica usata non è quella dell'affresco ma una sorta di tempera che penetrando solo in superficie nell'intonaco sottostante si dimostrerà maggiormente deperibile con il trascorre del tempo. All'interno le pareti della cappella sono ornate dalle immagini dei Dodici Apostoli, ormai molto “sbiadite"



Poco leggibile è l'ornamento al centro della volta che include l'immagine di Gesù Cristo circondato dai quattro Evangelisti. Meglio conservata è la lunetta che sovrasta la porta d'ingresso (foto sotto) dove si trovano le figure di San Sebastiano e di un secondo Santo, incerto nella sua identità; forse San Giovanni o San Cristoforo o come più probabile San Giacomo Maggiore; recentemente è stata avanzata l'ipotesi di San Rocco quale elemento iconografico rafforzativo dell'immagine di Sebastiano, essendo anch'esso legato ad una funzione di protezione contro la “peste."

    

Non è facile dire se gli Apostoli della Cappella siano attribuibili, come è stato più volte ipotizzato, ad un giovane Lorenzo Costa la cui opera ebbe sovente Giovanni II quale illustre committente, a cui il Gozzadini attribuiva la "Madonna col bambino", sulla porta esterna della cappella, oggi scomparsa. In definitiva è difficile assegnare queste immagini sommamente sbiadite al classicismo esuberante di quell' artista, se non considerando che avrebbe operato in una fase ancora fortemente debitrice della scuola ferrarese e dello stile di Schifanoia. È forse più prudente mantenere l'anonimato del benemerito pittore, che seppe comunque interpretare un tema caro al repertorio iconografico bolognese. 
Sulla porta d’ingresso della Cappella, sulla lunetta esterna, in posizione incassata, è dipinto un pregevole Cristo in pietà, per quanto ammalorato. La sua chioma è lunga e dal suo petto scorrono tracce di sangue causate dalla corona di spine. La testa è delicatamente inclinata in avanti ed è coronata da una aureola fortemente prospettica.

     

Sempre nell’area della Cappella va evidenziata, sopra la lunetta del Cristo (seconda foto da sinistra), una pittura, ormai fortemente deteriorata, di una Madonna con Bambino attribuibile a Lorenzo Costa. Come si può notare dalle immagini la composizione e fortemente sbiadita e solo con un po’ di gestione fotografica la si può intravedere ( terza foto da sinistra).
Nell’arco precedente a quello relativo all’entrata della cappella, fa bella mostra di sé un rilievo di una Madonna con Bambino. Non si conosce la provenienza né l’esecutore del rilievo, è certo però che faccia parte della numerosa serie di repliche della “Madonna dei Candelabri” di Antonio Rossellino (1427-1479). Alfonso Rubbiani nel suo libro, in cui parla della fase di restauro del castello, ci informa dei molteplici rinvenimenti nei vecchi ripostigli di fregi e stucchi originali che facilitarono la ricostruzione di stemmi e camini come quelli dell’epoca. Che la Madonna faccia parte di questo prezioso tesoro nascosto dalle “fate antiche”? (come dice lui). 



IL PIANO TERRA____________

Attraversando il cortile interno, dall’ingresso est della Domus è possibile entrare e percorrere un corridoio oggi occupato dagli uffici dell’Istituto Ramazzini. Il corridoio e gli uffici mantengono ancora visibili le pitture originali seppur deteriorate dal tempo. Stemmi degli Sforza e dei Bentivoglio, falconieri, angeli e demoni. Una sequenza di medaglioni come in una galleria pittorica.

    

IL PIANO NOBILE ____________ 

Dalla scala a due rampe, del lato est, si arriva al primo piano. Una galleria gira tutto intorno al cortile e consente l’accesso agli ambienti del piano nobile. Le prime due sale che incontriamo nel corridoio (colore oro) sono gli appartamenti privati di Giovanni II, con la così detta sala della "Storie del Pane". Le quattro camere successive (colore celeste) sono quelle dette degli stemmi e probabilmente riservate alla famiglia. Le camere a settentrione (colore giallo e rosso), dedicate originariamente agli ospiti del castello, furono adibite dal Pizzardi ad aule d'asilo. In fase di restauro alcune stanze della stessa ala furono unite in un unico salone di 258 mq (colore rosso sulla pianta) che Pizzardi destinò a cappella per la popolazione di Bentivoglio. La stanza è uniformemente dipinta di un colore rosso carico, il soffitto decorato a cassettoni lignei presenta un ornamento stilizzato con un cielo blu e stelle brillanti (foto pagina successiva). Lungo le pareti della stanza corre un fregio che recita l’opera di Carlo Alberto Pizzardi e, più in basso, lacerti d’affresco recanti figure di animali, come ad esempio alcuni esotici pappagalli. Proseguendo nel lungo corridoio dell'ala a ponente, superato l’ingresso ovest, si passa alla sala dei cinque camini o sala verde dal colore originario delle pareti (foto pagina successiva), la stanza più vasta dell'intera domus.


  

Proseguendo nella stessa ala si aprono quattro camere (colore viola) dette dei Parchi e dei Garofali. Queste stanze furono completamente ridipinte dal Rubbiani. Nella camera dei Parchi sono ritratti dei leopardi che reggono il vessillo con la sega bentivolesca mentre in quella dei Garofali sono dipinti dei fiordalisi (o più sicuramente il “radechio illustrato dal sole" così come lo indica Sabadino degli Arienti) con il motto "sic meus est animus “.

  

LA SALA DEL CICLO DEL PANE ____________ 

Come già anticipato in precedenza, superate due rampe di scale, nel lato est, si accede alla luminosa galleria del primo piano. La prima porta (a destra) accede a quella che si suppone fosse l'appartamento di Giovanni e Ginevra, in cui possiamo pensare che Giovanni ricevesse gli ospiti illustri e in cui si tenessero banchetti e pranzi di lavoro ad argomento politico. Gli affreschi sulle pareti raccontavano una storia antica tipica della terra che traspariva dalle grandi finestre “La storia del Pane ". 
Nella foto sotto a sinistra, è ritratto il "camino" della sala da cui si diparte la sequenza dei dieci pannelli che si susseguono sulle pareti della stanza. Le pitture raccontano le varie fasi della produzione del grano e quindi del pane, iniziando dal “disboscamento (figura sotto al centro) che presuppone la creazione delle tornature preposte alla coltivazione. Nel settore di levante, tra due luminose finestre, c'è la sezione pittorica più rovinata; infatti, sono appena percepibili tre pannelli in cui sono rappresentati la parte preparativa dei campi che andavano forniti di "scoline" e fossi drenanti.

    

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1 - Nel quinto comparto il tema è quello della "mietitura “, due giovani coloni sembrerebbero intenti ad ammucchiare il grano con i loro strumenti in attesa di poterlo caricare sul carro; anche qui gran parte della sezione inferiore dell’affresco è irrimediabilmente rovinata.
2 - Nel sesto comparto è visibile la "trebbiatura "; sei vigorosi contadini disposti sui lati dei covoni battono il grano con l'apposito bastone. Degno di nota in alto a destra l'inserimento di un motivo fantasioso a spirale che ci rimanda ad altri dettagli tipici della pittura ferrarese."
3 - Nel settimo riquadro, il frumento è stato posto nei sacchi ed è pronto per il trasporto al mulino con un carro trainato da grossi buoi

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4 -  I due riquadri successivi sono dedicati al mulino; un contadino si accinge a caricare un sacco di frumento su uno dei due muli, mentre il compagno a cavallo del secondo animale attende
5 - In questa sezione la scena si svolge nei pressi del mulino dove un uomo esce dal portone con un sacco di farina sulle spalle. 
6 - Nel decimo comparto la scena si sposta all'interno della corte del castello, dove tre fanciulle, sotto il porticato, stanno confezionando piccoli pani di forma rotonda. Una quarta fanciulla porta nuova pasta lievitata.

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7 - Nell’undicesimo comparto, reso quasi totalmente illeggibile, si intuiscono le giovani donne davanti al forno per seguire questa ultima parte della panificazione, “la cottura ".
8 - Infine, il banchetto; le tre fanciulle e i due giovani sono riuniti intorno al tavolo intenti a consumare vivande ed il pane appena prodotto. Sono ancora ben visibili gli oggetti riferiti alla tavola apparecchiata per il banchetto."


IL SOTTOTETTO_____________
e le torrette scomparse

Un elemento di grande interesse, nella fase di restauro, è legato a due torrette che non sono presenti nel disegno e nel restauro del Rubbiani, pur se visibili nella riproduzione del Bonfadini e in alcune foto d'epoca antecedenti alla ristrutturazione (foto sotto). 

        

Per quello che possiamo sapere, queste torrette erano presenti nel '700 ma non sappiamo se facessero parte del castello originario del '400. Il Rubbiani riteneva fossero state costruite successivamente alla Domus di Giovanni II e pensava anche che potessero essere collocate temporalmente nel XVIII secolo. Questa valutazione sembrerebbe suffragata da alcune osservazioni recenti fatte durante una analisi del sottotetto del castello nei punti dove le torrette erano presenti. Più precisamente, là dove era posizionata la torretta di Nord-Est, sono visibili muri tagliati ma ancora affrescati. Di seguito riportiamo delle immagini effettuate nel sottotetto.

    
Le immagini riportate sono un estratto delle foto scattate per illustrare la struttura del sottotetto del castello ed è proprio nell’area nord/est in cui sorgeva la seconda torretta che sono state nuovamente documentate delle pitture che riportiamo. (Foto Bentivoglio e dintorni)
    
Le foto esposte come si può notare ad un primo sguardo non sembrano avere uno stile quattrocentesco anche se alcuni esperti non ne sono così certi. Molto probabilmente il Rubbiani studiandole deve aver pensato che non fossero della Domus originaria e che quindi fosse opportuno eliminare le torrette per ridare al castello una linea che lui riteneva fosse quella del suo tempo. Sotto il castello dopo il restauro.




IL CASTELLO DAL '900 AD OGGI_____________

Il Castello, ristrutturato dal C.A.Pizzardi fu in parte utilizzato a scopi filantropici come le sale dell’ala nord che furono adibite ad Asili e Scuole per i bambini del paese (la foto a fianco mostra la porta d’ingresso della vecchia scuola). È giusto ricordare che all’inizio del Novecento gli asili non erano frequenti se non nelle grandi città ma Bentivoglio ne aveva uno.
La sala rossa fu utilizzata per diversi ruoli; prima chiesa che al tempo non era presente nel paese di Bentivoglio e poi sala cinematografica.
Allo scoppio della Prima guerra Mondiale, nel 1915, la Domus fu di supporto all'Ospedale come luogo di convalescenza per militari feriti. Nella foto si possono vedere soldati che lontani dalle trincee imparano a leggere e scrivere con insegnanti messi a disposizione dal Marchese.

  

La Seconda guerra mondiale causò al castello ferite profonde, infatti, il 22 Aprile del 1945, i tedeschi in ritirata fecero saltare la torre trecentesca allo scopo di rallentare l'avanzata delle forze alleate. L'ingiuria inferta alla Domus Jocunditatis è ancor'oggi visibile.
Attualmente parte del Castello è utilizzato dall’Istituto Ramazzini come centro per la ricerca indipendente e la prevenzione del cancro e delle malattie di origine ambientale.

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Alfonso Rubbiani:

" ...l'aspetto del castello che o si specchiava nelle acque o si ergeva fra le verzure dei giardini di là dal terrapieno murato, tutto letteralmente vestito di linde e smaglianti pitture, doveva essere ai suoi dì ben sorridente; come una oasi incantata o un regno di fata, quando al diradarsi delle nebbie che così frequenti ristagnano su quelle bassure, il sole batteva festosamente la festa dei colori."




BIBLIOGRAFIA

Il Castello di Bentivoglio a cura di Anna Laura Trombetti Budriesi
Edifir (Edizioni Firenze)

Il Castello di Giovanni II Bentivoglio a cura di Alfonso Rubbiani

Gli affreschi del castello di Bentivoglio a cura di Antonio Buitoni e Lorena Cerasi
Strenna Storica Bolognese 2009

Galleria Fotografica a cura del “Gruppo Fotografico Bentivoglio
e dintorni”



















 
 
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