Storia dell'Ospedale Consorziale di Bentivoglio

Si deve infatti al ricco possidente e imprenditore filantropo Carlo Alberto Pizzardi la costruzione di questo ospedale nel 1906, utilizzando una parte dei suoi proventi derivati dalle vaste risaie presenti sulle terre di sua proprietà nel territorio di Bentivoglio, S. Pietro in Casale e Castel Maggiore, appositamente bonificate e coltivate, e dal grande antico mulino (su derivazione del Navile, risalente al 1300), anche questo ampliato e modernizzato per aumentarne la produzione.

Storia Ospedale Consorziale di Bentivoglio - Bentivoglio e dintorni

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Storia Ospedale Consorziale di Bentivoglio

 
 
 
 








OSPEDALE DI BENTIVOGLIO
1906
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LA STORIA
 
 
 
Il testo è stato ripreso dal sito di: 
 
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L'OSPEDALE NELLA GUERRA 
1915-1918
 
Nato nel 1906 su iniziativa privata del Marchese C.A. Pizzardi, l’Ospedale di Bentivoglio aveva il compito di curare i numerosi lavoratori delle vaste tenute di famiglia al “Bentivoglio”, spesso flagellate da tubercolosi o da malaria, malattie tipiche delle aree malsane del luogo. Negli anni successivi, l'ospedale si evolve per diventare un punto di riferimento non solo per i lavoratori agricoli, ma anche per l'intera comunità locale. I costi del personale sanitario, tutti a carico del Marchese, determinarono l’insostenibilità delle spese e l’Ospedale fu chiuso per alcuni anni degradando in uno stabile non più gestito. Allo scoppio della Prima Guerra mondiale di cui C.A. Pizzardi era sostenitore, l’Ospedale fu dato in gestione alla Croce Rossa e con lui il Castello da poco restaurato. L’Ospedale curava i feriti di guerra e il Castello faceva da convalescenziario in attesa del loro ritorno in trincea. Di seguito una breve sequenza di immagini dell’epoca sia del Catello che dell’Ospedale.

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OSPEDALE CONSORZIALE 1952
 
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AMELIA INFERMIERA AL TEMPO DEL PROF. PALLOTTI
 
 
 
 
Testo e documenti fotografici a cura di :
Miria Cervi
 
Questa è una storia che mi raccontò Amelia Longhi Cesari nell’ottobre del 1991. A mente fresca pensai di scriverla. Nel 2011 la signora Amelia mi ha dato il permesso di pubblicarla.
L’Ospedale di Bentivoglio era conosciuto in tutta l’Italia del Nord per gli interventi del professor Pallotti. Venivano da Milano, Torino, Genova e andavano nelle camere laggiù in fondo, a pagamento. “Un de’ l’arrivè anch quel di biscut”, Colussi, e quando andò via lasciò la mancia persino in portineria. L’ira tot un etar mond, un etar sistema ad lavurèr!
Pensa che quando andai dentro io, nel ‘39, avevo quindici anni. Andai dalla Suora, e lei mi mandò dal Professore. Tremavo, perchè “alloura avevan sugezion”.
-” Professore, io vorrei venire a fare la pratica” -. Mi guardò dall’alto al basso e dal basso all’alto, poi disse: -” Va bene, ma ricordati: Niente Paga, niente paga, niente paga”-, per tre volte. E così per tre anni lavorai per niente; giusto per Natale la Suora arrivava con due arance in grembo.
Il Professore sembrava un generale: quando il portinaio lo vedeva in fondo al viale, arrivare in auto con il suo autista, avvertiva i reparti. I dottori correvano giù ad aspettarlo in portineria e si mettevano in fila sull’attenti. Poi uno dietro l’altro lo seguivano, prima nei reparti e dopo agli infettivi. Attorno al professore c’era sempre un gran silenzio. Al suo arrivo i parenti uscivano in fretta e lungo il corridoio si sentivano solo i passi che avanzavano per la visita.
Al reparto infettivi si accedeva dall’esterno dell’ospedale. I parenti che volevano visitare gli ammalati andavano su una scaletta in legno appoggiata alla finestra e li vedevano attraverso il vetro.
Il professor Pallotti, una persona molto severa e ligia al dovere, operava tutti i giorni dalle sette alle due-tre del pomeriggio, senza mai fermarsi. Non si poteva parlare né dentro, né fuori dalla sala operatoria, e le uniche cose che diceva erano: “Andino che è tardi, andiamo che è tardi, andiamo che è tardi”, sempre tre volte.
C’era una suora, Suor Furla che lo assisteva e si diceva che fosse diventata brava come lui. Il Professore avrebbe dovuto operarsi di ulcera ma non si fidava di nessuno. Solo dalla Suora si sarebbe lasciato operare.
Avevamo una tale paura del professore, che per non incrociarlo in corridoio ci nascondevamo dentro all’armadio, fin che non era passato. Eravamo in quattro infermiere in tutto il reparto, e per dare le ferie il professore ci disse che saremmo rimaste in tre. L’Amministrazione dell’Ospedale aveva pensato di non prendere nessun sostituto perché con i soldi risparmiati avrebbe comperato un ferro da stiro per la lavanderia.
Regnava una disciplina quasi al livello di una caserma, ma la gente lavorava con un grosso interesse. C’era una forte gerarchia: le praticanti, le infermiere, i dottori, la suora e il professore. Bisognava sempre ascoltare il professore, quasi con la testa china. Se un giorno c’era poco da fare, la suora faceva mettere a sedere qualcuna, che restava senza paga: questo per risparmiare. E con delle economie, a volte anche troppo eccessive, il bilancio tornava. Con questi metodi la medicina a Bentivoglio aveva fatto passi da giganti, e non c’è dubbio che la morte del professor Pallotti lasciò un forte vuoto nella chirurgia bolognese.


L'infermiera Amelia è l'ultima a destra nella foto 
sopra e la prima a sinistra nella foto sotto.



Dal Resto del Carlino del 12-12-1922



La foto scattata nel 1950 circa in occasine
dell'arrivo della Madonna di San Luca, 
vede il Prof. Pallotti presente 
(indicato dalla freccia)
Questa breve storia, raccontata dall'infermiera Amelia, apre un piccolo scenario sull'Ospedale di Bentivoglio ai tempi del Prof. Arrigo Pallotti, l'eminente Chirurgo protagonista nella prima metà del secolo scorso. Momenti, questi, topici anche per Bentivoglio: la prima guerra mondiale, la morte di C.A. Pizzardi fino alle lotte di liberazione, periodi storici che vedono il Professore in prima linea a curare ed operare malati anche a rischio della propria vita. Lo certifica l'attestato di "Primario Emeritoconferitogli dall'Ospedale di Bentivoglio nel 1963 .
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